Come l’assessment aiuta nella crisi?

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Come sarà fare assessment in questa fase di pandemia? Ma le aziende ci chiederanno ancora di fare assessment? queste le domande che con i miei colleghi ci facevano ad inizio marzo 2020.

La risposta è arrivata dopo poco. Non solo le aziende continuiamo a chiedere gli assessment ma siamo stati chiamati, come consulenti, a rivedere velocemente il nostro modo di condurli.

Molti di voi staranno pensando ai metodi; prima si facevano tante dinamiche di gruppo ed ora, dovendo garantire le distanze, dobbiamo pensare a qualcosa di diverso. Prima i percorsi si facevano in presenza, ora dobbiamo fare i conti, spesso, con un linguaggio non verbale parziale dovuto alle attività a distanza. Tutto vero. Sicuramente abbiamo dovuto rivedere le metodologie.

Tuttavia, contrariamente a quanto anche io stessa mi immaginassi (e faccio questo mestiere da dieci anni), quello del rivedere i metodi è stato il cambiamento minore. Il cambiamento reale è stato sulle competenze che siamo chiamati a rilevare.

Perché le aziende fanno assessment adesso?

Per certi versi questo momento di crisi mi ricorda quello relativo alla crisi che ebbe inizio nel 2008 e che ancora per certi versi ci portiamo dietro. Ricordo che nel 2014 presentai a un convegno nazionale un lavoro dal titolo: “L’assessor come salvatore. Gestire la crisi con l’Approccio Centrato sulla Persona”. Uno dei temi della mia relazione era quello relativo al vissuto di panico che percepivo in molte organizzazioni e che si traduceva con idee del tipo: “se sbaglio una selezione è una tragedia! Il costo di una selezione sbagliata non possiamo permettercelo!; “non importa quali siano le attitudini personali, tutti devono rimboccarsi le maniche e imparare a fare quello che c’è da fare!”. Così l’assessor diventava il salvatore chiamato in causa per la scelta dei “super eroi” o per fare “miracoli” nei percorsi di sviluppo delle competenze.

La mia ipotesi, sulla base di quella che allora era la mia esperienza, era che talvolta, da parte delle aziende, mancasse l’abitudine a gestire i processi HR; così si era dovuti passare dal fare selezioni “artigianali”, magari usando solo risorse interne non specialiste di selezione, al rendersi conto che era necessario avere in casa le competenze giuste (tecniche, manageriali, gestionali ecc) per non affondare; e non sempre la selezione fatta “in casa e al volo” garantiva questo risultato.

A distanza di sei anni da quel convegno, mi sento di dire che oggi c’è molta più consapevolezza del valore dei processi HR e dell’importanza di avere, nei diversi ruoli, le competenze chiave per il raggiungimento di obiettivi aziendali.

Così, in questo momento storico, non è più solo una questione dei metodi che scegliamo per fare assessment ma anche di competenze rilevate.

Da inizio crisi da Covid-19 nessuno ci ha chiesto un assessment come reazione “al panico del momento”; nessuno ci ha chiesto “salvaci selezionando le persone che ci salveranno”; nessuno ci ha chiesto: “dimmi come fare perché le mie risorse imparino a fare tutto”. Molti di voi staranno sorridendo ma tra il 2010 e il 2014 spesso è andata così.

Molti imprenditori hanno agganciato l’assessment alla vision e alle nuove culture organizzative che si stanno riadattando a uno scenario che cambia.

“chi ha la capacità di gestire l’incertezza e la flessibilità di adattarsi a un ruolo che fino ad oggi non è mai esistito in azienda?”; “in cosa possono crescere le mie prime linee per promuovere una cultura dello smartworking?”; “come sono cambiate le spinte motivazionali delle mie risorse?”; “quali sono le aree di miglioramento del mio nuovo team per aumentare i livelli di coesione e collaborazione?”; “quali risorse sta mettendo in campo la mia forza vendita per fronteggiare i cambiamenti?”.

Queste sono solo alcune delle domande che le organizzazioni ci hanno portato a monte di un percorso di assessment.

E dopo l’assessment?

L’assessment, come dice la parola stessa, è un percorso di valutazione inteso come una sorta di “fotografia” delle aree forti e delle aree migliorabili che caratterizzano le singole risorse o i team di lavoro.

Una volta concluso il percorso di assessment, ciò che l’organizzazione ottiene sono risposte alle domande poste in precedenza. Nel caso di una selezione, un assessment consentirà all’organizzazione di individuare la persona o le persone in linea con le esigenze connesse agli obiettivi aziendali chiave.

Nel caso dei percorsi di valutazione del potenziale (che al momento sono quelli più frequenti), l’assessment consente di pianificare azioni mirate volte allo sviluppo di specifiche competenze. Talvolta possono seguire percorsi di coaching o di mentoring o di affiancamenti on the job seguiti da feedback; altre volte seguono training formativi specifici. Nell’ultimo assessment che ho concluso, la persona proseguirà con un percorso di coaching finalizzato a potenziare le competenze legate alla gestione della delega; un altro percorso è proseguito con un training specifico sulla gestione dei conflitti.

Proporre percorsi di crescita mirati, fa davvero la differenza. Infatti, talvolta proporre percorsi formativi senza una reale messa a fuoco dei bisogni di crescita delle persone può essere fuorviante oltre che poco produttivo. Ad esempio, un conto è proporre un training sulla leadership a tutti i membri delle prime linee indipendentemente dalle loro caratteristiche, un conto è fare dei percorsi di assessment che mettono in luce necessità diverse.  Così chi ha bisogno di un training sulla leadership proseguirà con quel percorso, chi ha bisogno di un percorso individuale per imparare a dare feedback efficaci seguirà quel tipo di percorso; se emerge la necessità di potenziare la collaborazione, il percorso sarà rivolto al gruppo ma sarà sul teamwork ecc… Inoltre, possono emergere punti di forza da cui può nascere una riflessione sul ruolo e su come la persona possa sfruttare al meglio le sue risorse.

Misurare per crescere

Ripenso al colloquio di restituzione che ho terminato poco fa con un quadro che ha concluso il percorso di assessment finalizzato a definire il suo piano di sviluppo per avviarsi verso la carriera da dirigente. Assessment per niente banale fatto di un test, due role playing, una prova gestionale e un colloquio.

Mi sono rimaste in mente le parole con cui ci siamo salutati. “In questi anni sono stato talmente tanto preso dallo svolgere più lavoro possibile nel minor tempo, che non ci avevo neanche mai pensato a fermarmi per fare il punto su di me, sul modo di gestire i miei collaboratori e i problemi in generale. Ho capito che le capacità che mi hanno permesso di raggiungere gli obiettivi, non solo non sono scontate ma possono essere utilizzate in tanti altri modi, specie ora per affrontare la crisi. Duro da ammettere ma mi sono reso conto di quanto abbia data per scontata la mia capacità comunicativa quando invece sull’ascolto e sull’assertività ho almeno due margini di miglioramento. Lavorarci probabilmente mi permetterà di acquisire più credibilità anche su quei clienti che ritenevo impossibili”.

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