Il marketing è morto (o ha solo cambiato nome?)

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Vi ricordate le famose rèclame dei detersivi che andavano tanto di moda negli anni ottanta? Quelle in cui un simpatico omino si avvicinava ai carrelli della spesa proponendo alle massaie di sostituire il prodotto di marca con due confezioni dello stesso prodotto ma senza marchio?

Probbabilmente chi ha nel cassetto dei ricordi “Il pennello cinghiale”, “The Wall” dei Pink Floyd o i gol di Paolo Rossi starà nostalgicamente ritornando indietro nel tempo, rievocando pensieri, opere e missioni che oggi suscitano simpatia pur sembrando preistoria. Almeno per quel che riguarda il mondo pubblicitario e del marketing.
Da allora è cambiato praticamente tutto. E tutto continua a cambiare a velocità impressionante.

La TV, strumento omnipresente e omnipotente fino ai primi anni duemila, è stato surclassato come veicolo del messaggio comunicativo, informativo e promozionale dagli strumenti delle Rete.
Il monopolio dei grandi brand si è sciolto sotto il sole cocente del Digitale: sempre più persone fanno precedere la loro esperienza d’acquisto da ricerche preliminari sulla Rete. Quante recensioni positive ha quel prodotto? Come se ne parla? Qual’è la reputazione e l’affidabilità del brand? Come posso entrare direttamente in contatto con l’azienda?
I brand hanno dovuto e sono chiamati a ripensare il loro posizionamento e tutta la catena del valore, connotando prodotti e marchio di asset intangibili.
Il rapporto e “l’interazione tra brand e persone è, e sarà sempre di più, storytelling, racconto che coinvolge, che insegna, che trasmette valore e quindi lega positivamente coloro che sono in ascolto a questo o quel prodotto, servizio, marchio“.
I consumatori hanno un accesso alle informazioni alquanto enorme e ciò si unisce ad una sempre più vasta presa di coscienza dell’importanza di scelte etiche o, quanto meno, in grado di rispettare determinati sistemi valoriali.

L’nnovazione tecnologica corre e pure tanto è ciò costringe le imprese a rivedere non solo le scelte strategiche ma anche quelle operative. Il cloud computing, la virtualizzazione del desktop, lo smart working sono realtà che sempre più si stanno palensando. Ciò implica o dovrebbe implicare anche un nuovo modo di pensare il rapporto con il consumatore.
Non è un caso, di fatti, che  poche grandi aziende si stanno adeguando ai nuovi paradigmi per sfruttare l’effetto primis. Abercrombie & Fitch Co., ad esempio,  ha da qualche mese tolto il logo sulle proprie t-shirt e felpe e progressivamente lo farà su tutti i propri abiti.
Dal 1° Luglio la Procter & Gamble, ha abbandonato la sigla marketing director e l’ha sostituita con quella di brand director. Di conseguenza, l’ufficio marketing è diventato Brand management, e si occuperà di strategie, piani e risultati per i brand in termini di immagine, comunicazione e valore.
Durante gli scorsi mondiali di calcio, brand come Barilla o Adidas si sono sfidati in real time, proponendo campagne di marketing e comunicazione create ad hoc sul momento e durante lo svolgimento del campionato.

Dunque la traiettoria è stata indicata e c’è chi sostiene che il marketing sia morto. Affermazione ad effetto, funzionale al bisogno di sottolineare l’importanza e l’ampiezza dei cambiamenti in atto che in tale ambito aziendale si stanno manifestando più che in altre funzioni. La realtà è che il marketing come finora lo abbiamo conosciuto sta svanendo e ben presto modificherà gran parte dei connotati: ” il destino dei brand, e il loro stesso successo, dipende da quanto e come sapranno creare esperienze” , da come e quanto riusciranno a creare e gestire valori, contenuti e relazioni.

Simone Grasso

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