Assicurare il successo alle nuove generazioni

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Il tessuto produttivo del nostro Paese è caratterizzato dalla presenza di piccole-medie imprese, molte delle quali a “conduzione famliare”, intendendo come tale espressione tutti quei contesti imprenditoriali in cui capitale umano ed economico, gestione e processi decisionali si concentrano nelle mani di una famiglia e,tal volta, di un solo componente. Come rivelano infatti i dati ufficiali il 93% delle aziende iscritte ai registri delle Camere di Commercio ha questa particolare con-formazione organizzativa.

Tale tipologia di azienda ha rappresentato e rappresenta tuttora una grande risorsa per il sistema Italia: è grazie a questo tessuto produttivo che si è riuscito a creare e ad imporre sui mercati internazionali il brand Made in Italy fino a divenire sinonimo di qualità e prestigio.

C’è anche, tuttavia, un rovescio della medaglia: il passaggio generazionale. Una criticità di importanza strategica sulla quale molto spesso inciampano le nostre imprese, andando così incontro, nella migliore delle ipotesi, a processi di progressiva decrescita e mancata innovazione.

A rinforzare tale convinzione c’è la spietatezza e la glacialità dei numeri: due aziende su tre scompaiono entro cinque anni dal passaggio dalla prima alla seconda generazione e solo un’impresa su cinque arriva alla terza generazione; la parte restante è capace solo di passare il testimone, in qualche modo, da padre a figlio, ma non da nonno a nipote. Il 10% dei fallimenti annui delle aziende è derivante dalla mancata pianificazione e gestione del passaggio generazionale.Questo vuol dire che quando il “Fondatore” decide di cedere il timone d’impresa ai discendenti, il rischio di sopravvivenza dell’azienda è molto elevato.

Ecco il punto. Vale la pena, infatti, spendere alcune parole su questa figura e far partire l’analisi proprio da qui.

La fotografia del “Fondatore”, che io amo chiamare “pioniere”, ci evidenzia una persona che ha la volontà di lanciarsi verso l’ignoto, di assumersi i rischi, di innovare, sperimentare, alla ricerca costante di nuove modalità di business. Il pioniere non apre un’azienda ma costruisce la sua opera d’arte a propria immagine e somiglianza, ed è talmente legato alla sua creatura che finisce col dedicare un numero esagerato di ore al lavoro. Non ha bisogno di formazione perché ama i suoi clienti e il suo personale ed è abilissimo nel fidelizzarli. Le sue caratteristiche di unicità rappresentano linfa vitale per il sistema economico nella sua complessità. Ma è tutto rose e fiori? Non di certo e sicuramente non sempre.
Il vero limite del pioniere è la scarsa cultura manageriale che gli impedisce di trasformare la sua opera d’arte in azienda organizzata e gestibile anche dai figli e da personaggi di spessore esterni. L’organizzazione è spesso improvvisata, fuori dagli schemi di management. E’ raro parlare di cultura e strumenti manageriali, pressoché sconosciuti al Pioniere, a meno che non abbia sviluppato altrove una formazione manageriale. Deficit si riscontrano spesso anche dal punto di vista organizzativo e della pianificazione strategica: assenza di una funzione marketing e commerciale in grado di trasformare in pratica le strategie adottate, mancanza di una strategia di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, carenze nel controllo di gestione.

Volti di una medaglia che vanno indagati, scrutati in ogni dettaglio per comprenderne genesi, dinamiche ed evoluzioni e trovare le giuste risposte.

Se diamo per assodato quanto detto, allora le domande con le quale partire fuoriescono in maniera abbastanza naturale: le sopra citate e spesso vincenti caratteristiche sono ereditabili e/o possono essere delegabili? Come possiamo far sì che tale sistema di impresa possa intraprendere un profittevole percorso di sviluppo ed innovazione? Come fare in modo che si infonda una cultura del cambiamento, la sola in grado di garantire ampiezza e pienezza di espressione nel mercato globale?

Trovare una riposta secca e categorica, oltre ad una difficoltà intrinseca, potrebbe dare adito a cattive interpretazioni del fenomeno e, di conseguenza, all’impossibilità di individuare adeguate ed efficaci risposte. Di certo c’è che le qualità e le skills del pioniere spesso rappresentano il vero limite alla continuità aziendale: non si può costruire un’azienda su una sola persona, è un ossimoro linguistico e sostanziale.

Un’impresa è fatta di Uomini, persone che si relazionano quotidianamente e che istaurano una dialettica di intelligenze in grado di generare valore aggiunto. Ma affinché ciò avvenga è necessario un impegno costante e progressivo e che richiede la capacità di saper leggere ed interpretare le coordinate del cambiamento. E se è vero come è vero che le trasformazioni che stanno interessando il mondo d’impresa stanno procedendo a ritmi elevatissimi, allora la velocità diviene un elemento cruciale per la sopravvivenza e la presenza vincente sul mercato. Innovazione, qualità, cambiamento, persone,strategia, pianificazione. Queste le parole chiave dalle quali ripartire.

Da queste convinzioni nasce l’impegno Change per lo sviluppo di percorsi di alta formazione sulla Direzione e Gestione di Impresa, aventi l’obiettivo di sensibilizzare imprenditori e management sulla culturadel cambiamento e, in buona sostanza, su di una efficace cultura manageriale, in grado di garantire sani percorsi di crescita e sviluppo aziendale.

Cesare Sansavini

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